Da alcuni giorni dipingo quasi a memoria, mi aiutano le foto d'epoca, scorci e visioni di assieme del massiccio del Sassolungo, quella che da sempre è la mia montagna. Mi torna in mente a ondate il ricordo della fine di agosto del 1960 quando, reduce della scalata del Sassolungo (una via facile e non molto impegnativa ma esaltante per me che non avevo ancora 18 anni), salii con Pierluigi, l'amico genovese del tempo, la forcella tra il Sassolungo e le Cinque Dita per poi scendere nell'alpe di Siusi. Allora non c'erano risalite meccaniche. Il tempo cambiò in modo violento mentre eravamo tranquilli a riposare all'interno del rifugio Demetz. Uscimmo in un turbinio di neve e grandine. La nebbia ci circondava e si camminava male su pochi centimetri di neve bagnata e ghiacciata insieme. Pierluigi cadde, mentre scendevamo verso il Monte Pana, e si slogò la caviglia. Lo aiutai a proseguire tenendolo sottobraccio con l'incoscienza di un giovane alpinista in erba. Raggiungemmo gli amici che ci aspettavano a valle dopo ore di cammino. Avevo la mano destra assiderata dal freddo. Mi furono aperti dei tagli longitudinali per evitare il peggio e per molto tempo persi la sensibilità della mano al caldo e al freddo. Nessun rimpianto però. Il Sassolungo da allora è rimasta la mia montagna anche se non la frequento più da almeno 50 anni. La dipingo però quando mi viene voglia di raccontare a me stesso alcune emozioni forti che solo quelle guglie incredibili delle Dolomiti possono far tornare avanti nel tempo. Sempre uguali. Uno degli ultimi stimoli a ridipingerla è stata la scoperta di un bellissimo lavoro grafico di Claudio Olivotto proprio del Sassolungo.
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